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Salve, oggi ti propongo un interessante articolo pubblicato sul sito www.repubblica.it.
L'articolo riguarda uno studio volto a dimostrare che le scelte morali che la maggior parte delle persone fanno, sono influenzate dall'empatia che si ha nei confronti dell'altro.
Buona lettura!



Cosa rende morale un'azione: il fine che ci prefiggiamo, le sue conseguenze? O è l’azione stessa a essere intrinsecamente morale? Per fare un esempio concreto, è giusto uccidere qualcuno per salvare un numero maggiore di persone? O l'omicidio è intrinsecamente sbagliato, a prescindere dai motivi per cui lo si compie? Se classicamente è stata la filosofia a cercare le risposte a simili domande, oggi anche la scienza inizia a dire la sua nel campo dell'etica. Anzi, prova a fare di più: prevedere come agiremmo in situazioni del genere osservando come si attivano alcune specifiche aree del cervello legate all’empatia.
È di questo che si occupa l'ultima ricerca di Marco Iacoboni, direttore del Neuromodulation Lab della University of California di Los Angeles, che da tempo cerca di approfondire in che modo moralità, ragione e sentimento siano codificati all'interno dei nostri neuroni. 

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Integrative Neuroscience, prende il via da uno dei più utilizzati esempi di dilemma morale. Lo scenario è il seguente: siete in un villaggio occupato da truppe nemiche, e insieme a un gruppo di altri civili vi nascondete dalle ronde dei miliziani. Di colpo un bambino di pochi mesi scoppia a piangere e il rumore rischia di attirare le attenzioni dei soldati. Potete cercare di zittirlo coprendogli la bocca con una mano, ma il rischio è quello di soffocarlo. Se nessuno intervenisse, però, i soldati nemici potrebbero trovare il vostro gruppo e giustiziarvi tutti. Che fate? La risposta a questa domanda, spiega Iacoboni, determina a quale tipo di etica ci si rifà (magari anche inconsciamente).
 
"Nella visione moderna della moralità – racconta il neuroscienziato – ci sono due stili decisionali principali: uno, chiamato deontologico, che si concentra sulle azioni che eseguiamo in base a decisioni in ambito morale; l'altro, chiamato conseguenzialista, che si concentra invece sugli effetti delle decisioni in ambito morale". Calandoci nell'esempio precedente, decidere di zittire il neonato sarebbe una decisione conseguenzialista: le conseguenze dell’azione, cioè la possibilità di massimizzare il numero di persone che salveremo, giustificano il rischio di spegnere la vita del bambino. Rifiutarsi di mettere a rischio il piccolo, anche a costo di un numero superiore di vittime, è invece una scelta deontologica: uccidere (tanto più se la vittima è un infante) è intrinsecamente sbagliato, a prescindere dal costo che si dovrà pagare.
 
Sarà un sollievo (probabilmente) sapere che la maggior parte delle persone di fronte a questo dilemma si orienta per la scelta deontologica. Ma perché per tanta gente è immorale rischiare la vita del neonato? "Da un lato – spiega Iacoboni – la scelta potrebbe essere dovuta a empatia nei confronti dell'infante; dall'altro, la motivazione potrebbe essere un po' più egoistica, legata al fatto che non si vuole vivere col senso di colpa per la sua morte. Nel nostro studio abbiamo utilizzato le neuroimmagini per capire quale delle due interpretazioni è più attendibile".
 
Esistono infatti alcune aree del cervello, collegate al sistema senso-motorio e a quello affettivo, che mostrano una specifica attività quando ci troviamo di fronte alla sofferenza altrui. Il fenomeno viene definito "risonanza neurale", e si pensa che vi giochino un ruolo fondamentale i cosiddetti neuroni specchio, cellule del sistema nervoso che si attivano sia quando facciamo o sperimentiamo qualcosa in  prima persona, sia quando osserviamo la stessa cosa fatta o subita da un altro. Misurandone l’attività è dunque possibile stabilire quanto una persona sia "empatica", cioè con quanta forza tenda a sperimentare inconsciamente e "fare suo" il dolore di un’altra persona.
 
Nel loro esperimento, i ricercatori guidati da Iacoboni hanno analizzato il funzionamento di queste aree cerebrali in 19 volontari, mentre questi osservavano le riprese di una mano che viene punta da un ago. Ottenuto così un parametro con cui valutare il loro livello di empatia, li hanno poi messi alla prova con alcuni dilemmi morali, come quello citato che coinvolge il neonato, per vedere se l’attivazione delle aree cerebrali registrata nella fase precedente aiutasse a prevedere le loro risposte. E i risultati gli hanno dato ragione. 
 
"Abbiamo visto che l'attività cerebrale ha un valore predittivo sulle scelte deontologiche dei soggetti – continua Iacoboni – e di per sé questo è già un risultato notevole. L’area cerebrale in questione è inoltre associata con neuroni specchio, imitazione e empatia, e questo ci dice che la natura delle scelte deontologiche che la maggior parte degli esseri umani tende a fare è basata sull'empatia per gli altri, e non su considerazioni egoistiche di non voler vivere con sensi di colpa per l'atto compiuto".
 
I risultati – spiega l'esperto – possono aiutarci a comprendere meglio cosa avviene in situazioni patologiche, come nel caso delle malattie psichiatriche, in cui i normali meccanismi di funzionamento del nostro cervello per qualche motivo si inceppano. Ma sono importanti anche, e soprattutto, per iniziare a rispondere ad alcune domande eterne sulla natura umana, e sulle motivazioni che guidano le nostre azioni.
"Questo è il terzo di una serie di studi che abbiamo eseguito recentemente nel mio laboratorio per dimostrare che ragione e sentimento, in un cervello sano, hanno bisogno di un continuo dialogo", conclude Iacoboni. "Il fatto che una risposta cerebrale emozionale, come quella che abbiamo quando vediamo un altro soffrire, ci permette di predire scelte ragionate di fronte a dilemmi morali complessi dimostra un legame forte tra emozioni e ragione. E penso che capire il ruolo che svolge il cervello nelle scelte morali sia un modo per capire un po’ meglio anche noi stessi".

Dr. Matteo Mentuccia

Dr. Matteo Mentuccia, psicologo, mental coach e psicoterapeuta

Sono un Mental Coach, Psicologo, Psicoterapeuta ad orientamento Dinamico Integrato, iscritto all'ordine degli psicologi del Lazio (n° iscrizione 20283), svolgo la libera professione a Colleferro e a Roma.

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